mercoledì 13 maggio 2020

Workshop sulla Maschera, lo zoom delle emozioni

              

Un percorso sperimentale di Arte Teatro Terapia, naturalmente in questo particolare momento con contatti a distanza (piattaforma zoom), nel quale cercheremo di individuare disagi, delusioni, paure, bisogni reali, lavoreremo su queste emozioni e cercheremo di dare loro voce per una maggiore consapevolezza e integrazione.

 L’incontro utilizza la Bioenergetica e l’Arte Teatro Terapia con particolare attenzione alla costruzione e uso della maschera. Vi invitiamo a procurarvi dei fogli bianchi e dei colori (matite, pennarelli, altro).

Evento gratuito, date proposte (in base alle adesioni)
giovedì 21 maggio 2020 ore 17,30/19,30        oppure
sabato 23 maggio 2020 ore 16/18

Conducono:
Patrizia Battaglia
Sandra Pascale
Rita Marinai

Per ulteriori notizie ed iscrizioni visitate il nostro           blog
              https://scrignopsicocreativo.blogspot.com/
            o tel. 3388769485






Le maschere chiedono la parola

La maschera copre il volto della persona ma ne rivela altre qualità, quelle più nascoste, in essa vive, potenzialmente, quanto può essere portato alla luce. E’ un prodotto individuale, irripetibile che contiene le proiezioni dell’inconscio del suo autore. La sua forma, che evoca una rotondità di un mandala, racchiude istanze personali che raggiungono la finitezza solo quando il suo autore sente di averla completata. E’ importante, dopo la sua esecuzione, osservarla, spesso accade di non riconoscerla, o di non riconoscersi. Il contatto, l’osservazione evocano emozioni, ricordi, la concentrazione riporta a quel momento in cui si era soli, alla sua nascita. Riconoscerla vuol dire donarle credibilità, renderla una emanazione personale, indossarla vuol dire acquisire le sue potenzialità, la sua energia, identificarsi in quei tratti che la definiscono.
L’aspetto arcaico delle maschera costruite con la carta pesta rendono più regressiva l’esperienza. Spesso i volti sono quasi deformi ed evocano immagini primitive di divinità, uomini, animali. La maschera quando non è indossata richiama ad una sacralità contemplativa, è un’immagine distaccata dal turbinio delle emozioni, che osserva ed incute rispetto, timore. Nel movimento si anima, nel guardarla suscita emozioni più umane, spesso una sorta di tenerezza per la sua mostruosità, perché spesso le maschere sono poco armoniche, e il gesto e il movimento di chi le indossa trasmette un’immagine impacciata che chiede ascolto, chiede di poter esprimere, chiede di vivere.
Spesso sorgono delle difficoltà da parte di chi la indossa, sia perché essa è rigida e ruvida, sia perché molto spesso all’autore non piace la sua fattezza; la maschera non corrisponde all’idea che aveva in mente, è diversa, è lontana dal progetto iniziale, interrompe la comunicazione verbale, sembra che non c’entri nulla con quello che si sta facendo: la maschera chiede di intervenire, far ascoltare la propria voce che è meno potente della parola ma senz’altro più autentica. (Patrizia Battaglia, Sandra Pascale)



...e ancora meglio se indosso la maschera



Il modello di intervento a cui noi ci riferiamo è quello mutuato dall’esperienza del Laboratorio dell’Individuazione di P. Bartalotta che pone in grande rilievo l’importanza e l’utilizzo della costruzione della maschera che verrà poi indossata dai soggetti dell’azione scenica. 
L’intervento prevede un percorso che si articola in quattro momenti: la preparazione fisica, l’improvvisazione, l’espressività, la costruzione e rappresentazione della maschera.



Come nell’antichità la maschera aveva una funzione trasformatrice, chi la indossava ne assumeva i poteri, così nell’esperienza di Teatro Terapia la sua costruzione permette di vivere quanto proiettato in essa e di contattare quanto di nascosto è in noi.
La maschera viene costruita con carta e colla su un calco di argilla modellato.
Il lavoro con la materia, la colla, la creta ecc evoca la regressione. Dall’antico contatto con la materia, dal liquido amniotico al sangue, rimangono sensazioni confuse che riposano nella memoria del corpo, per cui l’esperienza conduce ad una dimensione arcaica. Dopo averla costruita e dipinta l'autore sale sulla scena e rappresenta questo suo vissuto.
Sulla scena il palco si illumina lentamente, pronto ad accogliere la performance nella quale prende vita una storia caratterizzata dalle emozioni evocate da quello schermo sul viso, che allontana tutto ciò che è intorno e apre un varco tra se stessi, la maschera e l’inconscio. 


Le maschere create sono sempre molto arcaiche, a volte inquietanti; la fissità, nell’osservarle, crea una distanza che il movimento riduce, riportandole ad una comunicazione che raggiunge anche l’esterno. Come per magia tutto si muove, si anima ed interagisce. Le movenze sono eleganti, lente, armoniche. Il corpo entra in sintonia con il volto coperto che ne rivela le emozioni in quanto la maschera, in realtà, non è uno schermo alla comunicazione ma esclusivamente alla comunicazione verbale. Infatti le parole spesso creano uno scudo impedendo agli altri e a se stessi di percepire il senso più profondo delle cose. Nei discorsi sul Tao di Lao Tzu il maestro diceva che non è parlando che si comunica, con le parole ci si scarica . Ci si veste di parole per tener lontano la comunicazione più autentica.
Con la maschera è difficile parlare, la voce esce distorta e rimbomba al suo interno, come se ponessimo delle mani sulla bocca e parlassimo a noi stessi; infatti spesso la voce non viene utilizzata. La maschera crea quindi uno schermo alla parola, alla razionalità, crea un vuoto iniziale che stimola, che lascia il campo alle emozioni e ai contenuti inconsci.
Quando si sale sul palco, essa dà sicurezza, spesso ci si guarda intorno, i movimenti sono lenti, la visibilità un po’ diminuisce. Si sale con un progetto messo a punto dalla nostra mente tenendo presente le emozioni vissute nella realizzazione e visione del prodotto, ma questo progetto spesso ci abbandona, sono le emozioni a guidarci. Interviene anche l’imbarazzo, per chi sta osservando, su quanto andiamo ad esprimere. Alla fine ci si domanda perché è stata realizzata quella performance e non un’altra? E’ l’inconscio che ha guidato, il piano iniziale è solo il momento di apertura della rappresentazione che poi si trasforma in tanti frammenti legati l’uno all’altro come in un divenire. Le azioni seguono in un continuum anche quelle apparentemente più banali.
La maschera viene indossata utilizzando anche dei travestimenti che la maschera stessa suggerisce. Il contatto con tutti questi oggetti non è sempre espressione di ciò che si vuole: un velo posto sulla testa che cade suggerisce un’azione e poi un’altra: il trovare dentro se stessi una soluzione attiva la creatività davanti ad un imprevisto, libera l’espressività, permette di contattare le potenzialità, rendendole visibili a se stessi e agli altri. Un velo che cade in una scena teatrale non interrompe l’azione, viene ignorato; nella Teatro Terapia può suggerire una ragnatela per esempio in un vecchio solaio e condurre ad una fantasia imprevista. E così l’imprevisto non viene contro ma viene incontro per condurre in un luogo dimenticato.(Patrizia Battaglia, Sandra Pascale)