Il modello di intervento a cui noi ci riferiamo è quello mutuato dall’esperienza del Laboratorio dell’Individuazione di P. Bartalotta che pone in grande rilievo l’importanza e l’utilizzo della costruzione della maschera che verrà poi indossata dai soggetti dell’azione scenica.
L’intervento prevede un percorso che si articola in quattro momenti: la preparazione fisica, l’improvvisazione, l’espressività, la costruzione e rappresentazione della maschera.
Come nell’antichità
la maschera aveva una funzione trasformatrice, chi la indossava ne assumeva i
poteri, così nell’esperienza di Teatro Terapia la sua costruzione permette di vivere
quanto proiettato in essa e di contattare quanto di nascosto è in noi.
La maschera viene
costruita con carta e colla su un calco di argilla modellato.
Il lavoro con la materia, la colla, la creta ecc evoca la regressione. Dall’antico contatto con la materia, dal liquido amniotico al sangue, rimangono sensazioni confuse che riposano nella memoria del corpo, per cui l’esperienza conduce ad una dimensione arcaica. Dopo averla costruita e dipinta l'autore sale sulla scena e rappresenta questo suo vissuto.
Il lavoro con la materia, la colla, la creta ecc evoca la regressione. Dall’antico contatto con la materia, dal liquido amniotico al sangue, rimangono sensazioni confuse che riposano nella memoria del corpo, per cui l’esperienza conduce ad una dimensione arcaica. Dopo averla costruita e dipinta l'autore sale sulla scena e rappresenta questo suo vissuto.
Sulla scena il
palco si illumina lentamente, pronto ad accogliere la performance nella quale
prende vita una storia caratterizzata dalle emozioni evocate da quello schermo
sul viso, che allontana tutto ciò che è intorno e apre un varco tra se stessi,
la maschera e l’inconscio.
Con la maschera è
difficile parlare, la voce esce distorta e rimbomba al suo interno, come se
ponessimo delle mani sulla bocca e parlassimo a noi stessi; infatti spesso la
voce non viene utilizzata. La maschera crea quindi uno schermo alla parola,
alla razionalità, crea un vuoto iniziale che stimola, che lascia il campo alle
emozioni e ai contenuti inconsci.
Quando si sale sul
palco, essa dà sicurezza, spesso ci si guarda intorno, i movimenti sono lenti,
la visibilità un po’ diminuisce. Si sale con un progetto messo a punto dalla
nostra mente tenendo presente le emozioni vissute nella realizzazione e visione
del prodotto, ma questo progetto spesso ci abbandona, sono le emozioni a
guidarci. Interviene anche l’imbarazzo, per chi sta osservando, su quanto
andiamo ad esprimere. Alla fine ci si domanda perché è stata realizzata quella
performance e non un’altra? E’ l’inconscio che ha guidato, il piano iniziale è
solo il momento di apertura della rappresentazione che poi si trasforma in
tanti frammenti legati l’uno all’altro come in un divenire. Le azioni seguono
in un continuum anche quelle apparentemente più banali.
La maschera viene
indossata utilizzando anche dei travestimenti che la maschera stessa suggerisce.
Il contatto con tutti questi oggetti non è sempre espressione di ciò che si
vuole: un velo posto sulla testa che cade suggerisce un’azione e poi un’altra:
il trovare dentro se stessi una soluzione attiva la creatività davanti ad un
imprevisto, libera l’espressività, permette di contattare le potenzialità,
rendendole visibili a se stessi e agli altri. Un velo che cade in una scena
teatrale non interrompe l’azione, viene ignorato; nella Teatro Terapia può
suggerire una ragnatela per esempio in un vecchio solaio e condurre ad una
fantasia imprevista. E così l’imprevisto non viene contro ma viene incontro per
condurre in un luogo dimenticato.(Patrizia Battaglia, Sandra Pascale)
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