mercoledì 13 maggio 2020

La finzione teatrale per dire la verità



La finzione teatrale diventa un mezzo per portare alla coscienza elementi dell’inconscio personale ed archetipico attraverso una forma indiretta e mascherata: la fantasia, elemento vitale del pensiero e l’immaginazione intervengono in forma attiva mettendo in moto il processo creativo attraverso il quale le difese vengono aggirate; infatti nella vita il come se è finzione, nel teatro è verità, ciò sollecita le potenzialità dell’essere umano e le sue risorse attraverso una finzione che protegge e svela. Quindi il gioco teatrale permette di contattare le zone d’ombra: confrontarsi con esse significa sia divenire consapevoli della propria individualità sia acquisire la capacità di stabilire e mantenere rapporti autentici con se stessi e con gli altri attraverso una comunicazione più vera ed un’autostima più rafforzata.
Nelle esperienze di Teatro Terapia non va inteso il fare teatro come fatto in sé terapeutico, affermazione che contiene una sua validità ma non corrisponde ad un approccio terapeutico che utilizza la rappresentazione teatrale come strumento capace di mobilitare contenuti profondi che vengono poi elaborati. Sono esperienze condotte da psicoterapeute/i che si sono formate/i in questo ambito e che non hanno pretese di fare teatro e né di insegnarlo. In ogni intervento viene sollecitata la creatività, ognuno è chiamato ad esprimere in modo simbolico ed immaginale se stesso, attingendo dal proprio bagaglio interiore.
Quanto ci si può sentire infantile nel recitare un personaggio che pure sentiamo emotivamente vicino! Invece perché non prenderne le sembianze, attraverso un travestimento, utilizzarne i gesti per esprimersi, chiedere ad esso le parole per dire. 
Un gesto, un movimento, l’accenno di una danza, una declamazione possono diventare parte di una rappresentazione teatrale, in cui l’autore diventa regista, attore, scenografo. Pur non aspirando a fare teatro, ci si pone sulla scena come creatori di una forma artistica, in questo senso teatrale, che permette alle emozioni di venire alla luce, di esistere e di interagire nello spazio scenico con quelle degli altri personaggi. A partire da quanto spontaneamente viene espresso attraverso il linguaggio simbolico si va successivamente verso la consapevolezza e l’integrazione, grazie all’elaborazione finale di ogni seduta che porta in superficie e svela i contenuti più profondi, quelli rimossi, quelli potenzialmente capaci di emergere e quelli progettuali che ogni individuo possiede. Essi affiorano lentamente e vengono contattati e accettati.
 Dunque, attraverso la creazione artistica si apre un mondo fino allora sconosciuto ed è possibile comprenderne la simbologia. Il mondo interiore che si svela trova nell’improvvisazione scenica, immediata e spontanea, un canale preferenziale di espressione. Il gioco teatrale esige il qui ed ora, la parola viene smascherata nella sua funzione di schermo alle emozioni, e l’individuo si cala nel personaggio che ha preso a prestito, per svelarsi senza autoinganni. Quanto emerge viene ricondotto ad una dimensione più facilmente accettabile, perché protetta dalla finzione teatrale, in cui si avverte l’autenticità del vissuto, il suo diritto di esistere e la ricchezza delle proprie risorse interiori. In un contesto terapeutico, quanto viene espresso, ossia il prodotto creativo individuale, rappresenta una via d’uscita dalla strada della rimozione, una tappa di un processo di iniziazione verso l’integrazione: ecco che il gioco teatrale provoca una reazione ed avvia un processo di conoscenza.
La consapevolezza della finzione e quindi della presenza di regole, per cui l’esperienza teatrale è come un rito collocato nel tempo e nello spazio, renderà il soggetto attivo e capace di gestire quanto sta accadendo in lui senza il rischio di esserne posseduto. Egli contatterà le immagini che si nascondono dietro le emozioni, sarà un viaggio nel “sottosuolo” per impadronirsi proprio di quelle immagini poiché, come sostiene Jung, altrimenti si corre “il rischio” che siano esse ad impadronirsi di noi stessi. (Patrizia Battaglia, Sandra Pascale)





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